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Cambiamenti climatici: nuova stima riduce valori del riscaldamento globale

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Quando si affronta l’argomento “riscaldamento globale”, spesso ci si imbatte in due opposti schieramenti: da una parte, nel terrorismo psicologico di alcuni catastrofisti e dall’altra, nel tentativo di minimizzare il problema da parte di governi e politici.
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Ma, come spesso accade, la verità – il modo in cui la questione andrebbe affrontata – giace nel mezzo secondo alcuni scienziati norvegesi. Un progetto condotto dal Research Council of Norway, infatti, effettuando delle stime sulle temperature di acqua, aria e superficie terrestre, ha calcolato che il pericolo di un riscaldamento globale eccessivamente intenso potrebbe essere più contenuto di quel che si temesse in precedenza. L’incremento medio calcolato si aggirerebbe, infatti, intorno a 1.9 °C, al raggiungimento di livelli doppi di anidride carbonica in atmosfera. Dunque: rischio presente, ma moderato.
Pare, infatti, che, posteriormente al rapido incremento negli anni ’90, le temperature si siano stabilizzate sui livelli misurati nel 2000 e da allora non si siano più avuti aumenti sensibili. Anche le temperature degli oceani apparirebbero stabili, nonostante le emissioni di anidride carbonica per effetto delle attività di natura antropica abbiano mostrato una tendenza a crescere nel tempo.

Per analizzare il fenomeno del riscaldamento globale, gli scienziati utilizzano il concetto di “sensibilità climatica” (climate sensitivity), intendendo con ciò la misura di quanto le temperature medie globali si innalzino all’aumentare delle nostre emissioni di gas serra nell’atmosfera. L’anidride carbonica è il principale tra i gas serra che le attività umane immettono nell’aria: prendendo come punto di partenza il livello di CO2 dell’era pre-industriale (e, nel dettaglio, l’anno 1750), è possibile calcolare di quanto la temperatura media dell’aria crescerebbe se tale livello venisse raddoppiato.
A questa velocità di immissione, un valore di CO2 doppio rispetto a quello misurato nel XVIII secolo si dovrebbe raggiungere approssimativamente nel 2050.

Il progetto è stato valutato dall’esperta in cambiamenti climatici di fama internazionale Caroline Leck, dell’Università di Stoccolma: “Bisognerà attendere ulteriori conferme – afferma la scienziata – ma ci sono tutte le premesse perché gli sforzi dei governi per raggiungere gli obiettivi in tema di cambiamenti climatici vengano premiati”.
Sembra, dunque, che il post-2000 si presenti con un trend in controtendenza e un riscaldamento globale con uno scarto minore di 2°C pare una stima attendibile.
Tuttavia, non sono unicamente i gas presenti nell’atmosfera a determinare ed influenzare il clima. Infatti, diverse variabili – la presenza di nuvole, l’evaporazione, la neve e il ghiaccio… – sono coinvolte, dando luogo ad una rete di interazioni (feedback mechanisms) di complessa comprensione. Come conseguenza di ciò, risulta spesso arduo ricavare quanta parte dell’incremento delle temperature globali sia da imputare all’azione dell’uomo.

Secondo l’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), il range di incremento di temperatura previsto per livelli doppi di anidride carbonica dovrebbe oscillare tra i 2° e i 4.5° C, con il valore più probabile di 3°; di contro, invece, per il team norvegese, diretto dal Professor Terje Berntsen del dipartimento di Geoscienze dell’Università di Oslo, membro del Centro Internazionale di Ricerca sul Clima e l’Ambiente (CICERO), il valore medio più probabile è pari a 1.9°, ricadente all’interno dell’intervallo 1.2 – 2.9°C. Nonostante il valore di 2.9° possa sembrare elevato, in realtà, come risulta dall’analisi dell’IPCC, è più basso di quel che fosse stato calcolato in precedenza.

Attraverso questo progetto, gli scienziati hanno cercato di comprendere l’effetto totale dei meccanismi di feedback noti sui cambiamenti che coinvolgono il clima. Per far ciò, hanno ipotizzato che la terra fosse un “laboratorio gigante”, al cui interno l’uomo conduce esperimenti, modificando parametri che influenzino il clima, come la concentrazione di gas in atmosfera o la percentuale di alberi in un’area. Tutti i fattori di origine antropica inerenti il cambiamento climatico, attivi dall’era industriale ad oggi, sono stati presi in considerazione nello studio. In aggiunta, hanno preso parte al computo anche i fattori naturali (eruzioni vulcaniche, attività solare..) e i valori di temperatura dell’aria, della superficie terrestre e degli oceani.

Il dato di 1.9°C ottenuto sul decennio 2000-2010 sorprende, sia in relazione agli studi precedenti, sia perché le analisi condotte sulla temperatura dell’aria e degli oceani nel periodo precedente al 2000 hanno rivelato una sensibilità climatica pari a circa 3.7°C. Tuttavia, tali incrementi devono essere presi per quello che sono, ovverosia stime: si verificheranno – con buona probabilità – nel caso in cui le concentrazioni di CO2 raddoppino e si mantengano ad alti livelli per un intervallo temporale sufficientemente ampio, poiché gli oceani dilazionano l’effetto della variabilità delle concentrazioni di gas atmosferici.
La spiegazione che il team di ricercatori ha fornito in merito alla discrepanza di valori ottenuti prende in considerazione il fenomeno delle fluttuazioni. Il “sistema clima”, infatti, è costellato da fluttuazioni naturali nei valori delle variabili coinvolte, fasi alterne che si possono verificare col passare degli anni: fino al 2000 le ricerche indicavano un innalzamento di temperatura, nel decennio successivo una fluttuazione potrebbe aver causato la stabilizzazione intorno a valori ridotti. L’incremento repentino delle temperature medie durante il 1990 potrebbe aver portato ad un’interpretazione distorta dei dati successivi e, quindi, ad una sovrastima della sensibilità climatica.
Un ulteriore aspetto su cui la ricerca si è concentrata è stato il ruolo del particolato atmosferico a base solforica nel bilancio totale del cambiamento climatico. La maggior parte delle particelle solforiche che l’uomo immette in atmosfera derivano dalla combustione del carbone: quantità che va ad aggiungersi al già grande serbatoio di particolato fluttuante nell’aria.
Le particelle presenti in atmosfera svolgono un ruolo molto importante per la formazione delle nuvole poiché agiscono da nucleo di condensazione; inoltre, assorbendo le radiazioni solari, fungono anche da meccanismo di raffreddamento climatico. La preoccupazione è che la riduzione delle emissioni da parte di grandi produttori come l’Europa, gli Stati Uniti e la Cina causi un innalzamento della temperatura globale, quindi un riscaldamento del pianeta. Tuttavia, gli studiosi norvegesi ritengono che l’impatto del particolato sul raffreddamento climatico sarebbe più limitato di quando sostenuto in precedenza.

Per concludere, la riduzione delle emissioni causerà un innalzamento delle temperature non troppo preoccupante. Ciononostante, benché l’incremento probabilmente non sarà ingente, non bisogna sottostimare il problema. Le attività umane hanno una gran responsabilità nell’induzione di cambiamenti a livello climatico: ciò che è stato riscontrato dai ricercatori deve costituire un nuovo stimolo all’impegno per il raggiungimento degli obiettivi prefissati, nel più breve tempo possibile.
Le misure volte alla riduzione delle emissioni di gas serra nell’atmosfera non devono interrompersi, quanto piuttosto essere esplicate al massimo, perché la situazione rimanga vivibile ed ecosostenibile per il pianeta e i suoi abitanti.

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